Il vino è una bevanda che da secoli fa parlare di sé, ne troveremo sempre traccia nella cultura così come nella religione.
E proprio nel periodo della settimana santa che si conclude domenica con la celebrazione della Santa Pasqua, simbolo della resurrezione di Gesù, scopriamo il significato e il simbolismo che lega il vino alle tre principali religioni monoteiste.
Parleremo del Cristianesimo e del ruolo del vino nella liturgia, dell’Ebraismo e delle regole alimentari, dette kasherut, ovvero il trattamento che il vino deve subire affinché possa essere definito kasher e quindi bevuto dagli ebrei e, infine, il simbolismo che ricopre il vino nella religione islamica e perché il profeta Maometto ne vieta l’assunzione.
Il vino per l’Ebraismo
Nell’Antico Testamento il vino è considerato simbolo di tutti i doni di Dio, cura le sofferenze dell’uomo e sa regalare gioia.
Nei banchetti non mancava mai del buon vino e molte sono le testimonianze rinvenute che parlano della bevanda di Dioniso.
Secondo il mito è stato Noè il primo uomo a piantare la vite:
“Bevve del vino, si ubriacò e si scoprì dentro la tenda”. (Gen., 9,20)
La vite e il vino sono due simboli fondamentali per il popolo d’Israele, la prima considerata addirittura come albero messianico e in generale espressione della prosperità e dell’abbondanza e dunque di una vita buona.
Nell’Antico Testamento la parola yayin, che significa vino fermentato, compare ben 140 volte.
Il vino assume una rilevanza particolare nella celebrazione dello shabbat, che inizia il venerdì un’ora prima della caduta della notte, quando si vedono tre stelle in cielo e termina il sabato alla stessa ora.
In questo giorno la benedizione avviene con del vino rosso di alta qualità che riempirà i calici fino all’orlo, di solito si tratta di calici eleganti intagliati con caratteri ebraici.
Durante la Pasqua, la Pessah, invece, si bevono quattro bicchieri di vino.
Il vino e il processo di vinificazione deve seguire le regole della kashrout, che si pensi siano regole universali di cultura vitivinicola.
I grappoli verranno raccolti solo dopo i primi tre anni e la vite verrà lasciata a riposo ogni sette anni.
Il vino deve essere elaborato esclusivamente da ebrei praticanti e tutti i prodotti utilizzati nella vinificazione devono essere kasher.
Infine c’è la cerimonia Trumat Maser che consiste nel gettare l’1% della produzione in commemorazione della decima versata ai sacerdoti guardiani del Tempio di Gerusalemme.
Il Vino dall’Ebraismo al Cristianesimo
Il Cristianesimo ha adottato per buona parte la tradizione ebraica, con alcune differenze.
Il vino assume per questa religione un significato diverso, ancora più profondo.
Esso diventa il sangue di Cristo versato sulla Croce e lo ritroviamo nella Chiesa durante l’Eucarestia, in cui si ricorda l’ultima cena di Gesù.
Il primo segno di Gesù, che si mostra alla gente come figlio di Dio, nel Vangelo secondo Giovanni, avviene durante le Nozze di Canaa, trasformando l’acqua in vino.
Un vino più buono di quello bevuto fino ad allora.
Ritroviamo la parola vino nella Bibbia tantissime volte, ben 224.
Il vino diventa il suggello dell’unione dell’amore tra i due amanti nel Cantico dei Cantici:
“…un bacio inebriante, accompagnato da tenerezze più dolci del vino”…
Islam e Vino
Nella cultura araba, prima dell’avvento di Maometto, il vino veniva prodotto e consumato e non era dunque proibito, soprattutto in Palestina, anzi vi erano dei grandi intenditori di vino.
Nel Corano, il libro trasmesso dal Profeta Maometto ai suoi discepoli, appare la proibizione con un fondamento.
Allah dice di non bere vino prima della preghiera poiché potrebbe compromettere le capacità cognitive, allontanando il fedele dal suo rapporto con Dio.
“Ti chiederanno cosa c’è di buono e cosa di cattivo nel vino. Dì che di buono c’è il commercio, di cattivo le conseguenze del berlo”.
Stando a queste parole il musulmano non può presentarsi al cospetto di Allah impuro, per cui non può bere alcool, sostanza che è stata considerata non lecita al pari del gioco d’azzardo e del mangiare carne.
“Ti chiedono del vino e del gioco d’azzardo. Dì: ” In entrambi c’è un grande peccato e qualche vantaggio per gli uomini, ma in entrambi il peccato è maggiore dei benefici”.
Col passar del tempo la Shari’a, ovvero la legge di Dio, ha posto il totale proibizionismo sull’alcool.
È proibito il vino terreno, tuttavia nel Corano si fa riferimento anche ad un vino paradisiaco:
“…la descrizione del Giardino che è stata promessa ai timorati [di Allah]: ci saranno ruscelli di un’acqua che mai sarà malsana e ruscelli di latte dal gusto inalterabile e ruscelli di un vino delizioso a bersi, e ruscelli di miele purificato. E ci saranno, per loro, ogni sorta di frutta e il perdono del loro Signore.”
Si tratta di religioni millenarie con punti di vista diversi ma anche accomunati da un filo invisibile che ne permette la convivenza.
E da queste radici lontane la cultura del vino non poteva non essere tramandata fino a giungere ai giorni nostri, dove nessuno si sognerebbe di brindare con dell’acqua o della birra, ma la sacralità del gesto resta e il brindisi lo si fa sempre con dell’ottimo vino.
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