La prima volta che si giunge nelle Langhe è, per qualsiasi appassionato di vino, un’esperienza paragonabile a un battesimo.
Io l’ho vissuto qualche mese fa durante un viaggio di lavoro che mi portò prima a Torino e poi un paio di giorni tra quelle ambite colline.
La mia aspettativa era, come quella di qualsiasi Sommelier o appassionato che si rispetti, davvero molta, mai mi sarei aspettata di superarla di gran lunga.
Durante il viaggio in macchina, appena fuori dall’autostrada, cominciai a sentirmi come una bambina che seduta sul sedile posteriore dell’auto attende di vedere il mare dal finestrino.
E proprio quando cominciai a temere che le foto viste sui libri e le tante pagine studiate non fossero poi così veritiere e che le colline non sarebbero state così sbalorditive, la macchina uscì dalla strada principale e cominciò a inerpicarsi in mezzo alla campagna, fatta di villette e pezzi di terra ammucchiati.
Per mia felicità stavamo salendo.
L’auto arrivò finalmente a un primo scorcio panoramico e io, con la testa girata verso il finestrino, rimasi per tutto il resto del viaggio con la bocca aperta e le lacrime agli occhi osservando quel mare infinito di colline che mi scorreva accanto.
Va detto che era inverno quindi non si immagini un verde intenso, né l’arancio di un tramonto, ma, piuttosto, il color caffè della terra e quello lattiginoso della nebbia.
Tre cose porto nella memoria di quei giorni, la prima è, ovviamente, il panorama
Il Monviso innevato che fa da cornice a un susseguirsi infinito di colline addormentate sotto il peso dell’inverno che a guardarle sembrano quasi il profilo di una donna intenta a sonnecchiare, talmente bella che non respiri per non svegliarla, e ancora filari senza fine che formano disegni geometrici e illusioni ottiche.
La profondità di quei panorami diventa relativa e si perde il senso della distanza.
La seconda è l’atmosfera. Non mi aspettavo che per viaggiare nel tempo bastasse spostarsi così poco da Torino.
Appena scesa dalla macchina sentii un silenzio sconvolgente e una sensazione che definirei come “assenza del tempo”.
Nelle Langhe gli orari non esistono, il giorno è scandito dal lavoro in vigna, la giornata inizia presto e si conclude presto.
Sembra tutto quieto. Se poi, come me, avete la fortuna di andarci d’inverno la sensazione è addirittura quella di staccarsi da terra perché la nebbia bassa non permette di vedere strade principali e le colline sembrano volare sospese nel cielo.
La terza ed ultima, ma non per importanza, il Nebbiolo. Non serve un intenditore per capire che il Nebbiolo è un’uva rara, unica nel suo genere.
Bere un Nebbiolo nelle Langhe ha il fascino di osservare un’opera d’arte con affianco l’artista che la racconta.
Ogni singolo pezzo di terra regala a questa uva sfaccettature incredibilmente diverse, ugualmente fa l’uomo che la interpreta e l’anno di vendemmia.
Non basta una vita per comprendere in maniera definitiva il Nebbiolo, ma il fascino sta proprio dentro la versatilità di quel rosso trasparente che non si lascia mai conoscere fino in fondo.
“Battesimo” viene dalla parola greca “baptismós” che significa “immersione” ed è il primo dei sette sacramenti della Chiesa Cattolica.
Posso dire oggi, dopo aver camminato all’ alba in mezzo a quei filari, che recarsi nelle Langhe andrebbe annoverato come primo tra i sette sacramenti del Vino e che andrebbe simboleggiato attraverso l’abluzione del capo con un calice di buon Nebbiolo.
Ilaria Giardini
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